venerdì 7 ottobre 2011

Sul ponte della Marquesa

Non sentiamo più i flauti e i tamburi degli infedeli. Sulla Real sono stati issati i vessilli della città di Lepanto, e noi tutti abbiamo sollevato le croci. Il nome di Dio eretico scritto mille e mille volte sulla bandiera della Sultana impallidisce di fronte al Crocifisso della Santissima Lega. Il vento ora è cambiato. Dio è con noi.
Non li sentiamo perché il vento è contrario, ci spinge verso di loro, ma Paulo dall’albero maestro dice di aver visto i sardi sparare sui cani infedeli con gli archibugi, e che questi cadono come mosche. Dice che la Sultana è assediata, e preghiamo il Signore affinché questo vento che ci sospinge non ci faccia morire invano.
Paulo dice che i musulmani sono molti di più. I veneziani scappano dal conflitto, la Capitana di Doria esce dalla formazione, rompendo le fila. Siamo spacciati, penso io, ma non lo dico a Miguel, lo spagnolo. Sorride amaro. E’ voluto uscire sul ponte a tutti i costi, ha detto che preferisce morire per il suo Dio e il suo Re che stare sottocoperta. Gli sorrido di rimando. Ci avviciniamo sempre di più alle galee ottomane. Il comandante de Machado ci richiama all’ordine. Le galee lontane cozzano e urlano come mostri marini. Ci siamo quasi.

Miguel è stato colpito tre volte, da tre proiettili. Due l’hanno colpito al petto, l’altro al braccio sinistro; non riesce più a muoverlo, ma è contento lo stesso: dice che col destro potrà ancora scrivere. Mentre tornavamo verso Messina mi ha confidato ciò che vuole scrivere: un cavaliere un po’ tocco, Alfonso, o forse Alonso, non ricordo, e della sua ostinazione nel combattere dei giganti con le braccia rotanti, o forse dei mulini a vento; non ricordo. Probabilmente delirava per la febbre alta.

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