sabato 29 ottobre 2011

Blue dawn

Un’altra volta, erano stati svegliati nel cuore della notte un’altra volta. Ormai tutti sapevano da dove provenissero quei rumori, e s’erano scambiati qualche sguardo preoccupato, in silenzio, quando si erano ritrovati davanti il solito edificio dalle pareti bianche. Ognuno contava i propri respiri.
Dentro stava Maurice. Aveva sognato ancora. Sognava spesso, quasi ogni notte, e la mattina dopo raccontava tutto nella sala che avevano adibito a mensa comune, per stare meno soli. Raccontava di città meravigliose sulla superficie di Marte, città talmente lontane da esser a un paio di oceani di distanza, e ne conosceva ogni viottolo e ogni angolo, e ne aveva nostalgia, e a vederlo parlare, forse, qualcuno dei presenti ci credeva, che quei posti esistessero sul serio. Narrava di meravigliosi palazzi sulle lune di Giove, e voleva prendere il telescopio e guardarli; ne aveva contato le guglie, e le riconosceva una per una. Si commuoveva poi quando parlava delle strade con delle viste meravigliose tra gli asteroidi, e con trasporto ci parlava dei ponti ancora bellissimi sui fiumi oramai secchi del pianeta rosso. A volte faceva degli incubi orribili, Maurice. Non li raccontava mai, ma la notte urlava, e aveva attacchi di panico, e dovevano andare, accendergli la luce e tranquillizzarlo per un po’. Poi si risdraiava e chiudeva gli occhi, ma in quelle notti non dormiva più.
Quella notte si erano alzati tutti perché non urlava, come al solito. C’era qualcosa di diverso.
Maurice singhiozzava. Disperato. Piangeva e a volte gli mancava il respiro. Entrarono in due, accesero la luce; Maurice stava lì, sdraiato a letto, piangeva fortissimo, ma dormiva ancora. Dormiva e piangeva, e le grosse lacrime che gli bagnavano il viso non lo disturbavano. Decisero di aspettare che finisse, ma non si calmò prima di un’ora, e l’alba azzurra stava già sorgendo.
Poche ore dopo Maurice si presentò nella sala mensa, taciturno. Qualcuno glielo chiese, cosa avesse sognato.
«Ho sognato la Terra», disse.

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