lunedì 26 settembre 2011

Il Fuoco è spento, nella Torre Bassa

Mi chiamo Alonso Archibaldo da Sousa, e sono un Guardiano del Fuoco. Vivo nella Torre Alta, quella più lontana dalla strada, quella a picco sul mare, con dietro il monte Lancia; per arrivare bisogna passare di fianco alla Torre Bassa, gemella, e percorrere tutta la spiaggia di Porto Plata: è un piccolo golfo, qualche ora di cammino, e quì si raccoglie qui un’acqua tanto salata che dicono che nessuno vi sia mai annegato. La notte accendo un grande fuoco nel terzo piano, il più alto, della mia Torre, e guardo il fuoco accendersi nella Torre Bassa, così sorrido, e penso che è grazie a me che tutto funziona, che le navi capiscono che, a qualche miglia più a sud, troveranno la Città luminosa, un letto caldo, e, se non sono troppo stanchi, una prostituta non troppo vecchia, o non troppo giovane. Accendo il grande fuoco, e poi resto a guardarlo: d’inverno mi scalda, estate mi incanta. Durante il giorno taglio la legna dagli alberi della montagna, vado a caccia o pesco, controllo le navi che vengono e che vanno. E’ un mestiere importante, per tutti, e per me.

Il Guardiano dell’altra torre si chiama Mario Costante, è finito lì per una questione di debiti di gioco, nonostante egli dica di essere stato fregato. Con lui, Mario Costante, non c’è mai stato un grande rapporto: è un sognatore, della peggior specie, e sono stato sempre io ad accendere il fuoco per primo, mentre lui mi imitava solo qualche minuto dopo. Abbiamo mangiato insieme, qualche volta, a metà strada tra le due torri, ma lui parla poco; per tutto il tempo, seduto sulla spiaggia argentata, guardava il mare, forse cercava la sua terra lontana, forse la sua donna lontana; mi ha parlato di lei qualche volta, ma non riusciva mai a finire la frase, come se, ricordando di lei ad alta voce, si aggrappasse a quell’immagine che aveva appena evocato, e, improvvisamente gelosissimo, non la volesse dividere neanche col vento, o con l’oceano. Per questo e altri motivi ho iniziato ad evitare la sua compagnia: sono un tipo molto solitario e Mario Costante non è proprio una persona con la quale io possa avere un buon rapporto.

Il terzo giorno della scorsa settimana ho acceso il mio fuoco, bruciando i rami migliori perché c’era luna nuova e tutto sarebbe diventato scuro, volevo essere sicuro che il mio segnale venisse visto da lontanissimo. Ho atteso qualche minuto e ancora, dalla Torre Bassa, neanche una scintilla. Ho pensato che Mario Costante si fosse addormentato, e ho urlato dalla cima della torre il suo nome, sperando che il vento favorevole glielo portasse e lo destasse; niente. Per tutta la notte la Torre Bassa è rimasta buia e tetra, un’ombra sul mare. Non mi piaceva per niente, ed ero infuriato con Mario Costante. Avevo pensato di andare il mattino dopo subito alla sua Torre per arrabbiarmi e forse minacciare di denunciarlo all’alto comando, ma la notte come unico Fuoco mi aveva estenuato la mente e il corpo, così son caduto addormentato fino al mezzodì. Appena sveglio non ho avuto la premura di andare a fargli capire la portata del suo errore, così anche per quel giorno son rimasto nella Torre Alta a vegliare, ho cacciato un po’ di selvaggina per la cena e ho aspettato il tramonto per alimentare le ceneri che ancora ardevano. Il fuoco era già visibile da un sacco di tempo, ma dall’altra torre ancora nessun segno. Fuori di me, sono sceso dalla Torre Alta, premurandomi che il Fuoco restasse acceso per ore e ore anche dopo che io fossi andato via, e ho corso per la spiaggia che vedevo a malapena, diretto verso la Torre di Mario Costante. Durante la strada mi son fatto le idee più strane su quel che avrei trovato nella Torre Bassa, anche le idee peggiori; ma mai avrei pensato a un tale epilogo.

Arrivato alla Torre Bassa, ho notato per primo la totale assenza di luce; non solo la fiamma era spenta, ma nessuna torcia, nessun fuocherello ardeva vicino o dentro la torre, solo dei tizzoni, sotto la cenere; il vento si era alzato e soffiava tra le feritoie facendo suoni cupi. Ho acceso una torcia e ho controllato a terra: non c’era nessuna traccia di Mario Costante, se non qualche vecchia impronta. Poi l’ho vista. A terra giaceva la borsa di cuoio della corrispondenza: l’altro dei motivi che portava me e Mario Costante a incontrarci era la posta, che consegnavano a lui e lui doveva passare a me. Per me, lettere di parenti, qualche amico, che col tempo si erano diradate fino a sfiorare il silenzio, mentre per lui, a suo dire, non arrivava mai niente. Quella volta, evidentemente, qualcosa era cambiato. Dentro la sacca di cuoio c’erano decine e decine di lettere ingiallite. Mi son chinato a controllarle, le date erano vicine e lontane nel tempo, ma la calligrafia era la stessa, la firma, il nome uguale, Maria. Erano tutte lettere d’amore, poetiche o dolci, altre arrabbiate, altre deluse, corte o lunghe, scritte tutte col medesimo inchiostro nero. L’ultima lettera aperta, quella in cima al mucchio, era brevissima, diceva così:

«Sempre, ma oggi di più»

Questo è l’ultimo segno che ebbi della persona e dell'esistenza di Mario Costante.

Ho iniziato a pensare: avrei tanto voluto denunciarlo al sergente, ma no, nessun sergente, era una diserzione terribile, avrei richiesto direttamente l’intervento del Capitano, o udienza al Re della Città luminosa, se solo qualcuno mi avesse sostituito alla Torre Alta io avrei, avrei… Ma poi ho smesso di pensare tutte queste cose, e non mi sentivo più arrabbiato. Soltanto, mi sentivo terribilmente solo. Così, lentamente, con la borsa di cuoio tra le braccia, sono tornato verso la Torre Alta, camminando sotto una falce di luna affilatissima. Sono arrivato accanto al mio Fuoco, e mi sono seduto con le gambe incrociate. Fino all’arrivo dell’alba, una ad una, ho bruciato tutte le lettere di Maria: le guardavo cambiare colore, dagli angoli fino al centro, dividersi, contorcersi, svanire nell’aria.

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