lunedì 19 settembre 2011

Berquilla

[facendo spazio su un vecchio hard disk si possono trovare cose innominabili, cose sepolte sotto massi franati di dati e anni passati; questo racconto è una di loro, scritto in piena adolescenza e in - palese - periodo Lovecraft]

Il vecchio Mimmìa si è impiccato. L’hanno trovato in camera sua, con una cintola al collo e una sedia rovesciata sotto i piedi, una lettera terribile scritta con mano tremolante in tasca; l’hanno trovato dopo qualche giorno che non respirava più, perché il vecchio Mimmìa viveva da solo e non usciva quasi mai. L’uomo più vecchio del paese, si portava bene il suo centinaio, camminava e parlava ancora. Nessuno sa perché l’abbia fatto, nessuno sa come a cent’anni suonati si possa trovare il coraggio di tanto. Io ho una mia idea.
Voglio raccontarvi una storia. E’ la storia di un paese ridente, un paesino diroccato su una collina, tra il nulla. E’ la storia che i vecchi amano raccontare d’estate quando la calura li costringe a star fuori, ma mai più lontani della porta di casa, con una sedia a parlare. La storia di Berquilla.
Si dice che prima il paesino non fosse così. Meno di un secolo prima, quando Mimmìa era ancora un bambino, la parte alta del paese era abitata da genti non originarie di Berquilla, sicuramente neanche della regione, probabilmente neanche della nazione; istranzos li chiamavano i meno coraggiosi, estranei.
Avevano mandato via tutti gli altri dalla sommità della collina senza usare la forza: la gente aveva timore di loro. Si racconta che avessero uno sguardo glaciale e che facessero dimenticare ogni ricordo felice solo a star loro davanti, e che tutti i venerdì notte grandi falò venissero alimentati da qualcosa che produceva odori terribili e piogge nere. Nessuno parla o vuole parlare delle ombre e delle figure che danzavano attorno ai fuochi che i più temerari si erano arrischiati a scorgere.
Dimonios li chiamavano i più coraggiosi, diavoli.
Dopo interminabili anni passati nell’insalubre e palustre terreno sotto la collina, gli abitanti di Berquilla videro il loro desiderio avverarsi. Un enorme masso si staccò dal lato della montagna e schiacciò tutto ciò che stava sopra la collina, terreni, case, ambigue statue e oscuri simulacri. Secondo la leggenda, dopo ciò gli abitanti dei piedi della collina si spostarono in massa sopra il piccolo rilievo, costruendo esattamente sopra il masso franato la nuova chiesa dei Santi.
Ma voglio raccontarvi un’altra storia. E’ la storia di un paese condannato, un paesino solo su una collina, lontano da ogni luce. E’ la storia che nessun vecchio ricorda di buon grado e solo pochi tra loro la raccontano, sottovoce, attorno a un tavolo di un bar fumoso e deserto le notti d’inverno, ma solo dopo tanti bicchieri. La storia di Berquilla.
Si dice che quella notte, la notte che il masso cadde, non tutto venne distrutto. Ma ormai gli abitanti dei piedi della collina, troppo infervorati per cedere dopo quel segno quasi divino, non erano intenzionati a fermarsi davanti a niente. Bruciarono le case rimanenti sul capo della collina, chiudendo i loro abitanti all’interno di esse. Nessuno udì alcun urlo quella notte. Solo dopo un giorno, quando ci si decise a spostare le ceneri, si iniziò a presentire il vero terrore. Sotto una delle case trovarono un passaggio sotterraneo ancora scoperto, che portava in oscuri meandri che nessuno si sentì di esplorare, ma tutti furono d’accordo nel sigillare quell’antro demoniaco e tutti coloro che dentro si erano rifugiati.
Per mesi nessuno riuscì a dormire sulla cima della collina, svegliato da incubi e urla strazianti provenienti dal sottosuolo. Le urla si susseguivano ogni notte; chiamavano ognuno degli abitanti col proprio nome di battesimo, incessantemente. Qualcuno impazzì quelle notti; pareva che non fossero pochi coloro che chiamavano dalle profondità, e che non avrebbero accennato a smettere. Ma dopo un po’ le urla si affievolirono, gli anni passarono e alcuni si dimenticarono o fecero finta di farlo. Il paese si ampliò e crebbe, fino a raggiungere uno, due, tremila abitanti.
Nessuno oggi si ricorda di questa storia, o nessuno vuole ricordare. Da qualche settimana degli operai lavorano nella piazza principale, proprio quella della chiesa dei Santi, per dei problemi alla rete fognaria, troppo spesso scoperta alle intemperie. Gli ordini sono stati categorici, scavare e portare più a fondo le tubature. Solo l’altro ieri hanno aperto però una fenditura nella roccia, la roccia che franò. Ero presente come supervisore ai lavori, e ho visto, sentito e percepito tutto ciò che è uscito dall’anfratto nella roccia. Un liquido nerastro è colato dal bordo spaccato della fenditura, e inizialmente sembrava di intravedere una strana luminescenza rossa in fondo a quel buco, che era già più profondo di quanto si intendesse scavare. Ho deciso di interrompere i lavori in seguito al suicidio di Mimmìa. Vi ho parlato della lettera, credo. Ma non vi ho parlato di ciò che vi era scritto.
Le urla, le sentite? Sono tornate e mi chiamano, mi chiamano ogni notte.
Sapete, mi sta succedendo un fatto curioso di notte… Mentre dormo, sono svegliato da tremendi colpi che sembrano provenire da sotto terra, e, altre volte, sento scandire il mio nome da moltitudini di voci terribili. Mi dico che non è possibile, che sono stato suggestionato dalle vecchie storie; ma ora ne sono certo, le ho catturate con un registratore portatile: le voci esistono. E non se ne andranno finché non mi avranno.

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