mercoledì 31 agosto 2011

Un'aria

Mi trovavo nel mio appartamento nel centro di Roma. L’avevo comprato da poco, e arredato finemente; vivevo da solo. Erano le sette, forse le sette e mezza, e dalla finestra del mio studio entravano i rumori e le voci dell’ora di cena: sostanzialmente, voci di donna, bambini, e stoviglie che stridono, in un momento mi è parso di sentire anche un piatto che andava in frantumi, in mille pezzi. Il sole non era ancora tramontato, ma il palazzo di fronte mi impediva di guardarlo mentre portava a compimento il suo viaggio quotidiano. Questa, forse, era l’unica pecca di quel luogo. Non facevo caso a niente in particolare; semplicemente, leggevo ascoltando l’indaffararsi delle persone che non conoscevo e forse non avrei mai conosciuto. (In realtà, poi, qualcuno lo conobbi: il vecchio Ernesto, del terzo piano, reduce di guerra. Morto un paio d’anni fa, suicida.)
Mentre mi pareva di sentire distintamente il rumore dell’acqua che bolliva, dell’olio che friggeva, di bicchieri o forse calici riempiti, ecco, tra tutti questi rumori, udii un suono. Converrete con me che non c’è niente che colpisca così tanto, in mezzo al rumore disordinato e sfuggente, come la limpidezza di un suono. Si udiva, distinto e un po’ timido, acuto.
Musicale.
Doveva essere per forza una nota musicale. Così poggiai sulla scrivania il libro che stavo leggendo, e uscii sulla terrazza. La nota musicale proseguiva, in un crescendo di volume deciso, ma nessuno pareva essersene accorto. Ero l’unica persona che cercava quel suono misterioso. Poi la nota cambiò. Fu un progredire, una marcetta, allegra, un’aria deliziosa magari, ma ciò che mi colpì maggiormente fu il suo essere straordinariamente fuori luogo. Una marcetta con un clarinetto, nel pieno centro di Roma.
Non riuscivo a capire da dove venisse, e non riesco ancora a spiegarmi cosa mi provocò esattamente quella curiosa sensazione che è il pensare di essere diventato pazzo. Nessuno suonava il clarinetto nel quartiere, e lo sapevo benissimo; nonostante ciò, nessuno però sembrava sconvolto quanto me. Il rito della cena si consumava veloce o lentamente, lo sentivo bene, sentivo le forchette sbattere col fondo dei piatti, ma nessuno faceva caso alla melodia impossibile che veniva da quel clarinetto così agilmente celato, o, forse, realmente inesistente. Mi sporsi tanto dalla ringhiera che rischiai di cadere. Un suono di clarinetto, in queste vie? Signore, stai forse cercando di dirmi che devi aver sbagliato qualcosa?

2 commenti:

  1. A Roma rumori e voci dell'ora di cena alle sette, sette e mezza?!

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  2. Perché no? :)
    Qua si sentono - anche se non sto in centro, lo ammetto. Comunque, permettimi la finzione, dài

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