mercoledì 2 marzo 2011

Raccontino di Natale

«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!» cominciò la guardia, guardandomi con occhi spiritati e indicandomi l’ingresso. Valerio mi prese per le spalle e mi spostò di lato, evitandomi l’urto con quella figura rabbiosa, poi disse per confortarmi: «Non preoccuparti, fa così con tutti, è di guardia nell’ingresso posteriore, ma sa che deve farci passare tutti, siamo i dirigenti, e se veniamo qui è perché ci hanno chiamati dai piani alti», poi si rivolse direttamente a lui: «Smettila di gridare, non veniamo qui dentro senza una ragione, e lo sai; non ricordi quando Michele vi ha fatto una bella strigliata per questi comportamenti?». La guardia s’immobilizzò e si sedette, con movimenti meccanici, lasciandoci passare, completamente muta.
Entrammo nel centro commerciale da una porta piuttosto in alto, e guardando verso il basso vidi come tante piccole formiche alla ricerca di una colata di glassa su un marciapiede d’agosto. Ma come è possibile tutto ciò? Chi permette questo? E gli uomini perché si riducono sempre, incessantemente, all’ultimo giorno, all’ultimo momento?
Mi ricordava quella volta in cui ho attraversato con il traghetto lo stretto di Messina, sopra Scilla e Cariddi, quando il mare non faceva altro che gettarsi sopra altro mare, senza tregua: c’era una moltitudine infinita di persone, non riuscivo a contarle; e tutti urlavano, e trascinavano delle enormi buste - da cui spuntavano nastri e lustrini e cartoline con disegni scontati - di peso, alcuni le facevano rotolare per aiutarsi, chissà che c’era dentro poi. Mi resi conto che il centro commerciale, visto da così in alto, aveva una forma vagamente circolare, e nel centro di questo avvenivano degli scontri furiosi tra quelli che portavano i bustoni appresso, si urtavano e poi, voltandosi indietro, urlavano l’un l’altro: «Perché tieni?» e «Perché burli?». Ora, pensandoci a posteriori, non sono ben sicuro del perché gli acquirenti dell’ultimo minuto parlino un ottimo italiano medievale, ma lì per lì mi sembrò perfettamente plausibile. Continuavano a camminare appesantiti, fin quando non raggiungevano il limite del cerchio e una delle porte del centro commerciale, e lì ripetevano le domande urlate e tornavano indietro, gli uni come se volessero comprare ancora di più, gli altri come se si fossero pentiti dei troppi acquisti, e volessero rimettere a posto qualcosa.
Valerio, che era rimasto a fianco a me a guardare, ma già era a conoscenza della situazione, mi disse: «Tutti quanti sono stati ciechi, e un po’ tocchi. Non hanno saputo spendere con misura, nei tempi e nei modi, e ora sono qui, che sbraitano gli uni contro gli altri». E io: «Valerio, allora credo che là sotto ci sia qualcuno che conosco». Ma lui: «Non credo tu lo riconosceresti: sono qui da talmente tanto tempo e sono talmente sotto stress che pochi son realmente riconoscibili, e loro comunque non riconoscerebbero te. Alcuni usciranno da qui a mani vuote, senza alcun regalo, altri invece col portafogli totalmente vuoto». Rimasi impietrito a fissare la scena, poi Valerio mi fece un cenno, e scendemmo le scale verso un’altra ala dell’edificio.
Qui trovammo uno spettacolo forse peggiore: davanti i vari box accoglienza numerose figure si agitavano, sbraitavano, si sbracciavano verso le commesse dal sorriso stanco, sbattevano le mani o i piedi, a volte entrambi, e si mangiavano le unghie con estremo nervosismo, mentre uno strano rumore, come di un sospiro stizzito e collettivo, si distingueva nell’aria. Valerio mi disse: «Daniele, questi, li riconosci, sono gli iracondi, ma occhio, guarda oltre: dietro di loro, dietro i clienti alle casse, ai servizi consumatori, ai banchi ricorsi, li vedi, stanno gli accidiosi: ora stanno pensando “Abbiamo comprato e ci siamo lamentati solo dentro di noi, silenziosamente, e ora non possiamo più reclamar niente, perché anche lo scontrino abbiamo buttato. Per questo sbuffiamo ancor di più.”
Guardandoli attentamente, evitammo tutti loro, passando poco dietro, finché non ci trovammo di fronte ad un ascensore.

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