martedì 17 luglio 2012

Sevilla

Sono a Siviglia solo da un paio d’ore e, almeno in sogno, due volte sono già stato ammazzato brutalmente in un bar. Ma erano due bar diversi. Credo tutto andrà bene.

Io, in spagnolo, so dire niente; letteralmente, so dire solo nada, l'ho letto in un racconto di Hemingway e non l'ho più scordato. Questo va benissimo fin quando le zingare cercano di vendermi il loro rosmarino magico e io dico nada e loro mi maledicono nella loro lingua antica e catarrosa, ma avevo davvero bisogno di bere e Siviglia è torrida e rossa e sono solo. Siviglia è rossa non solo nel calore, è rosso il sangue in plaza de toros e son rossi i turisti nordeuropei appena arrivati, son rossi i capelli della barista della bodega in cui finalmente ho preso da bere. Grazie, de nada mi dice. Ho scelto per bene il bar, perché volevo evitare con attenzione tutto ciò che mi ricordasse il mio primo sogno, ed è stato facile: nel primo sogno mi trovavo in una cantina, con dei piccoli tavoli in legno e della segatura e le bucce dei pistacchi che schioccavano ad ogni passo, quand'ecco che si sente qualcosa di strano; entra qualcuno e non lo posso vedere, non cammina come gli altri. È come se saltasse su un solo piede e continuo a non girarmi, fisso un grosso specchio davanti a me, ma non vedo il mio riflesso, in realtà non vedo neanche lo stesso bar. Inizio a pensare che quello non sia davvero uno specchio ma un quadro e BAM, vengo pistolettato a sangue freddo, senza una ragione precisa, fine, nada. Non ci sono tante cantine aperte a Siviglia, e comunque ho cercato un posto che non avesse nessun piano inferiore, né un seminterrato, non si sa mai.

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