domenica 26 giugno 2011

Apologia

Nella mia vita, mi sono arrabbiato due volte. Contate. Non ho mai avuto una grossa rabbia, non ho mai odiato nessuno; le persone che ho amato le ho dimenticate, senza passare per quel periodo, un po’ patetico, dell’odio per chi, semplicemente, non ci ama; la ritengo di per sé una cosa molto egoista.
Mi ricordo che una volta ho scritto una poesia. Una poesia sciocca, da bambino, e bambino ero; si chiamava Le rose e ancora oggi, se mi impegno, la ricordo tutta. E’ stata la prima, e ancora non è arrivata l’ultima. Poche poesie, in generale, parlano davvero d’amore. Molte lo usano, e dicono tutt’altro. Le mie non facevano eccezione; ho vinto anche due o tre concorsi.
Poi lo sapete anche voi, cosa succede quando non ti senti più davvero bambino, e di anni ne hai 14, 15, e tutto ti sta stretto, e non parlo dei soli vestiti, e anche la radio, quella, non la sopportavo più. Mi trovavo tra le mani cassette su cassette, passate da chissà quali mani misteriose, non ho mai chiesto, ma mi è sempre rimasto il dubbio; mi dicevano «ascolta!» e io ascoltavo, e quello che sentivo mi piaceva, quelle chitarre graffianti e quelle urla belluine e tutta quella energia, un qualcosa di primitivo quasi si risvegliava in me, e mi ritrovavo a canticchiarle, a cantarle, a urlare, anche, è successo, quando credevo di essere da solo.
Tant’è che un giorno mi sentirono cantare, da una finestra, erano dei ragazzi più grandi: erano quelli che facevano le cassette, sapevano tutto qualunque cosa dei gruppi vecchi e nuovi, e molte cose poi non erano vere, e compravano le riviste, e le loro camere erano piene di foto di cantanti e chitarristi e teschi e capelli lunghi; avevano anche degli strumenti, chitarra, batteria e basso, solo quello serve, mi dicevano. Un giorno mi sentirono cantare, e me lo chiesero, di cantare con loro, così, per provare, dissero, mi hanno portato in una cantina piena di posacenere e altri poster, incontabili poster, e lì ho provato per la prima volta a cantare in un microfono; si può dire che non abbia mai smesso.
Ma soprattutto, non ho mai smesso di scrivere. Però non scrivo cose davvero cattive, come fanno gli altri gruppi. Le chitarre graffiano, le bacchette picchiano e si spezzano, ma io non sono arrabbiato. Scrivo di me, a volte, degli altri, più spesso, scrivo di guerre ed eroi, di marinai e stelle, di re in rovina e alieni anche alle volte, ho scritto tanto, ho scritto per tanti.
Poi dopo un po’ qualcosa è cambiato; certo, scrivo ancora, però ora li scrivo, i testi violenti, i richiami alla morte, i serpenti, i diavoli, infestano le pagine e la mia voce, che sta quasi andando via, ormai sono quasi arrivato, lo sento. Scrivo, ma non sono io.
Ho cambiato tanti gruppi nella mia vita, ho conosciuto un sacco di persone, e preso un sacco di sostanze, e fatto l’amore con tante donne, e ho visto tante di quelle città, di quei paesini, che ora non me li saprei ricordare tutti. Il pubblico è contento anche se parlo dei diavoli, il gruppo è contento, io un po’ meno; però, alle volte, dal palco vedo la gente sotto di me che si agita, e si schiacciano gli uni contro gli altri, si tuffano, si scontrano, sorrido: mi ricordano il mare.

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