E’ il dodici di novembre del ****, e Roma, come al solito, sembra uscita
da una delle sue cartoline, il reale dall’arte, l’originale dalla
copia, o qualcosa del genere. Sull’autobus un vecchio signore non fa
altro che tirarmi la manica della giacca e dirmi cose curiose, come mi ricordi me da vecchio nel passato,
e, considerata la mia giovane età, non è esattamente un complimento;
così gli sorrido e gli parlo, con affetto e trasporto, del tempo. Sceso
in Via del Corso, mi dirigo verso Piazza Colonna: a palazzo Chigi,
infatti, si sta svolgendo una riunione del Politicante dimissionario e
del suo Sostituto, che qui non nominerò; la gente, fuori, aspetta
l’uscita del Politicante per vederlo sconfitto, o per lanciare un ultimo
insulto. Una signora sui sessanta e i capelli inequivocabilmente azzurri,
di fianco a me, pare parecchio presa dalla grottesca situazione, lancia
urla poco intelliggibili e ride con la sua amica e un cane di piccola
taglia.
Quand’ecco che qualcosa cambia: da un luogo non definito arriva un urlo
più forte degli altri, «Sta per uscire, il pelato! sta per uscire!»
(curiosamente, la voce mi è parsa quella del vecchio dell’autobus) e
tutti si zittiscono.
Il grande portone di palazzo Chigi si apre.
Esce, saltando, esce Giulio Migliaccio.
Raggiunge
un gruppo di ragazzette festanti e firma un pugno di autografi,
sorridente come il sole, vestito con i pantaloncini corti e la maglietta
a maniche lunghe del Palermo (a novembre, si sa, fa freddo). Poi il
Divo torna dentro il palazzo, scartando agilmente dei sorpresi
giornalisti, bailando futbol con una pallina matta.
(Non troppo lontano, Totti, a casa sua, piange lacrime amare.)
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